Frequenza cardiaca a riposo nella malattia cardiovascolare


Studi epidemiologici di ampie dimensioni hanno confermato le conclusioni dei primi studi, che avevano mostrato che la frequenza cardiaca a riposo è un predittore indipendente di mortalità cardiovascolare e di mortalità generale negli uomini e nelle donne con o senza malattia cardiovascolare diagnosticata.

Gli studi clinici hanno indicato che la riduzione della frequenza cardiaca è già di per sé un importante vantaggio offerto dai beta-bloccanti e da altri farmaci che abbassano la frequenza cardiaca, dopo infarto miocardico acuto, nell’insufficienza cardiaca cronica e nell’angina pectoris stabile.

Gli studi patofisiologici hanno mostrato che una relativamente alta frequenza cardiaca ha effetti diretti sfavorevoli sulla progressione dell’aterosclerosi coronarica, sulla presentazione di ischemia miocardica e delle aritmie ventricolari, oltre che sulla funzione ventricolare sinistra.

Un aumento del rischio è stato osservato con frequenza cardiaca a riposo al di sopra di 60 battiti/min.

Sebbene sia difficile definire una frequenza cardiaca ottimale per un singolo individuo, è desiderabile mantenere una frequenza cardiaca a riposo sostanzialmente al di sotto della soglia di tachicardia di 90-100 battiti/min. ( Xagena2007 )

Fox K et al, J Am Coll Cardiol 2007; 50: 823-830 Cardio2007


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